Lezioni yoga online

Sunday 5 April 2020

Premio Strega 2020: Ragazzo italiano - Gian Arturo Ferrari


Certe volte l’età di un autore e’ importante. Lo e’ in questo caso.

Gian Arturo Ferrari, classe ’44, con Ragazzo italiano propone un romanzo di formazione e di storia dell’Italia del dopoguerra.
Attinge a piene mani dalla sua esperienza di vita, tra Emilia e Lombardia, e ricrea atmosfere familiari e conosciute, echi di cose viste o sentite dire.
Lo fa attraverso gli occhi del bambino Ninni, diviso tra Querciano (comune fittizio dell’Emilia), Zenegrate (comune fittizio della Lombardia) e la per niente fittizia Milano. Il bambino si fa ragazzino, Ninni/Piero, e poi ragazzo, abbandonando per sempre il “Ninni” e trovando la sua identità come Piero e basta.
Le piccole vicende del protagonista danno il la, di volta in volta, all'introduzione di aspetti e dettagli di costume e società, politica e cultura.

Il contenuto dei programmi, fatta eccezione per Lascia o raddoppia?, che aveva la capacità mitopoietica di trasformare in eroi i suoi concorrenti, non aveva grande importanza, anzi nessuna. Non si guardava questo o quel programma, ma la televisione in quanto tale, sempre e comunque. Per questo si facevano preferire i programmi lunghi, dove non si doveva cambiare prospettiva, argomento, personaggi e si poteva invece gustare appieno la televisione in sé.”

 La tecnica della giustapposizione dei diversi quadri di vita italiana richiama un precursore emiliano eccellente, l’ottimo Guareschi e la sua saga dedicata a  Don Camillo e Peppone.
È anche evidente l’influenza del cinema neorealista, soprattutto nelle scene legate a Milano: le baracche della periferia, e l’architettura che cambia man mano che ci si avvicina al suo cuore, il Duomo, sembrano un chiaro tributo a Miracolo a Milano.

“Dunque, Milano era un posto complicato. Ci vivevano quelli delle baracche con le candele e le pantegane, e a mezz’ora di tram, in case che non si potevano neanche immaginare, abitava gente che mangiava con venti posate d’argento a testa. E loro?”

Ninni (e Piero poi) e’ un grande osservatore, un giusto mix di ingenuità e curiosità, l’occhio perfetto per documentare l’Italia e la sua famiglia che cambia con essa:

La gente, per le strade, sul tram, aveva perso quell’aria spiritata di prima, quando si capiva che si stavano giocando tutto, che non avevano riserve. Non si appendevano più fuori dal tram, non combattevano negli ambulatori, non cercavano, disperatamente, di andare avanti. (…) Ingrigivano. Anche il babbo, che a casa non lavorava piu’, ingrassava, aveva perso lo scatto.

 Ninni/Piero e’ anche un amante della letteratura e a poco a poco si rivela portato per le materie umanistiche, e per la scrittura in particolare. La precisione stilistica, classica ed elegante, l’amore per il dettaglio, sono in parte collegabili al suo gusto per la lettura e la scrittura, ereditati dalla nonna maestra, ma anche un sicuro indizio della formazione dell’autore e una piena realizzazione di quello che e’ a tutti gli effetti un romanzo classico. Niente sperimentazioni, qui. Solo il lento, preciso passo di un vecchio signore che sembra guidare per mano il suo piccolo protagonista, additandogli di volta in volta i dettagli, spesso raccolti in sontuosi elenchi:

La piu’ interessante pero’ era un’altra, questa sicuro prozia, che pur essendo molto voluminosa abitava con un marito minuscolo in un appartamento non piccolo, ma fatto di una sequela di stanzette piccolissime. Ognuna delle quali era stipata fino all'inverosimile di ogni sorta di chincaglierie, cimeli, memorie. Quadretti, statuette, vasetti, cofanetti, scatolette, borsette, per non parlare degli album di fotografie, delle lenti d’ingrandimento, degli orologi, dei fermacarte, degli occhiali da sole, dei ventagli…

Peccato per l'ombra del finale, una sorta di epifania sulle rovine classiche della Grecia, la culla dell’umanesimo, dove Piero sembra dimenticare tutto quanto è successo nei diciotto anni precedenti e vivere una illusione che stona rispetto al realismo che caratterizza, invece, tutto il romanzo. La “coda” è l’unico pendaglio sull'albero a non stare in piedi:

Un tema era un percorso con un capo e una coda. Non bastava appendere all'albero i pendagli e poi togliere l’albero, in realtà i pendagli erano tutti connessi, chi leggeva il tema doveva passare dall'uno all'altro come guidato, condotto per mano. Ma senza accorgersene”.

No comments: