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Wednesday 19 September 2012

Le isole, il traffico e il sushi (2)

Un po' per voglia, un po' per vedere l'effetto che fa, ho chiamato il ristorantino giapponese per ordinarmi un piatto di sashimi, come mio solito. In 20 minuti di solito mi arriva il tutto, portato da un ragazzo o ragazza del ristorante, ben vestito in kimono tradizionale giapponese. In 20 minuti, questa volta, sono venuti due piccoli ragazzi, vestiti in jeans e maglietta. Quando ho aperto la porta se ne stavano li', un poco curvi e con lo sguardo spaurito. Mi e' parso si rasserenassero un po' nel vedere che dietro la porta c'era una laowai e non un cinese pronto a prenderli a male parole. 

Le isole, il traffico e il sushi

In questi giorni a Pechino e' un po' come essere nell'ultimo film di Zhang Yimou, Flowers of War: un forte sentimento nazionalista anti-giapponese serpeggia per la citta'. Che poi il sentimento non sia reale, bensi' provocato dall'alto e' una considerazione quasi scontata. La zona intorno all'Ambasciata Giapponese e' cordonata e le vie sbarrate al traffico pubblico e privato; ci sono gruppi di picchettanti "tenuti a bada" dai poliziotti che pattugliano i punti nevralgici della citta'; gli elicotteri volano nei cieli pechinesi con l'inquietante suono delle loro pale metalliche, rendendo lo scenario urbano molto piu' vicino a Gotham City che non alla Nanchino dell'invasione giapponese.  Se non fosse che va avanti da giorni - e tutto per quelle che Wikipedia descrive come "five uninhabited islets and three barren rocks" - sarebbe, come al solito in questo paese, tragicocomico.
Anche il povero ristorantino giapponese sotto casa fa i conti con il nazionalismo imperante, e sopra alle insegne ha disposto bandiere rosse cinesi e scritte di chiara ispirazione nazionalista, un po' per imposizione e un po' anche per evitare guai, che non si sa mai.


Le scritte recitano due slogan: "Le isole Diaoyu sono cinesi!" e "La gente e' cinese, i cuori sono cinesi!' facendo chiaro riferimento alla nazionalita' dei gestori del ristorante, a beneficio della potenziale clientela. Mentre nulla si dice riguardo alla nazionalita' del pesce servito.
Il Seven-Eleven di fianco, per non essere da meno in termini di amor patrio, ha esposto sopra la porta d'ingresso una bandiera cinese.
Per il resto, la vita continua e per la gente normale il problema rimane ancora una volta il traffico, la cui situazione e' notevolmente aggravata dai blocchi stradali di cui sopra. 

Sunday 16 September 2012

Un quadrato e' sempre un quadrato?

L'arte astratta, questo grande mistero irrisolto. Metto un po' di colori sulla tela, non do' un titolo al mio (capo)lavoro cosi' lascio libero lo spettatore di capirci quello che piu' gli piace ed e' fatta.
Lo so, il discorso e' molto piu' complesso di cosi', e anche se posso capire tutto il processo per cui un Kandinskij arriva a fare astrattismo, mi riesce piu' difficile apprezzare questa corrente. Ancor piu' difficile mi riesce giustificare, tuttavia, il Quadrato nero su fondo bianco di Malevic, padre del suprematismo sovietico. Non tanto perche' non sia convinta della bonta' dell'opera, quanto per la descrizione che ne fanno i libri di testo:
"... dipinge un'opera dal significativo titolo: Quadrato nero su fondo bianco". Certo, piu' significativo di cosi
'.
Ma andiamo avanti:
"Il quadrato nero, in quanto forma geometrica, non e' tratto dalla realta', ma e' per Malevic espressione della sensibilita' interiore, non-oggettiva..." - che devo pensare di un artista che ha per sensibilita' interiore un quadrato nero?
Ma Malevic continua a stupirci. Qualche anno dopo
"giunge al limite estremo, oltre il quale e' impossibile andare, dipingendo "Quadrato bianco su fondo bianco (...) Al di la' di questi due casi irripetibili..." E certo che sono irripetibili. Dato che un quadrato e' sempre un quadrato, se qualcun altro rifaceva l'esperimento lo avrebbero tacciato di plagio "Alt, ma quello non e' il quadro che ha fatto Malevic?"
                                                                                                 
Cio' mi porta a ripensare a quando ero bambina e mi si e' sempre detto che non sapevo disegnare (il che era vero). Non sapevo riprodurre una banana, o una mela, o un semplice paesaggio - il che e' sempre stato problematico nel gioco del Pictionary, piu' avanti, ma questa e' un'altra storia. La nostra cultura e' ancora legata al figurativismo di ascendenza rinascimentale: per essere bravo in educazione artistica, conta che tu sappia riprodurre il dato realistico. Dei quadrati neri o bianchi che ti porti dentro se ne fregano tutti, a meno che non decidano di mandarti in psico-analisi. Cosi' guardando - comunque perplessa - le opere di Malevic mi sono detta che forse, forse anche dentro di me c'e' un artista, ma il maledetto Rinascimento lo ha soffocato sul nascere. Forse, forse in ognuno di noi ci sono cerchi e triangoli di impareggiabile bellezza, che aspettano solo di essere messi su tela.

Thursday 6 September 2012

Paese che vai tassista che trovi

E uno capisce perche' i tassisti abbiano ispirato cosi' tanta produzione specie al cinema, come i film Taxi Driver o il nostrano Il Tassinaro o la canzone francese Joe Le Taxi. Il Corriere della Sera online oggi dedica un articolo ai tassisti milanesi che si rifiutano - e per legge possono farlo - di caricare animali sui loro veicoli.
I casi presentati nell'articolo sono due: una signora con figli, valigie e cane a rimorchio all'aeroporto e nessuno la vuole caricare, presuntamente per via del cane; una anziana signora con cane invalido, e nessuno la vuole caricare in una serata fredda e tempestosa.
Da frequentatrice, anzi, consumatrice di servizio taxi a Pechino, potrei dire di essere diventata un'esperta del settore e oso pensare che il cane sia stato solo un pretesto, anche a Milano.
Il tassista pechinese preferisce non caricare mandrie di bambini, specie se c'e' di mezzo pure passeggino o carrozzina. Davanti ad una mamma con prole al seguito, se la prole e' a livello di neonato o poco piu', il buon tassista non si ferma. Perche'? Ma semplice. Si sentirebbe obbligato a scendere dalla macchina e dare una mano, e allora preferisce ridurre lo sforzo e tirare dritto.
Il tassista pechinese in giornate di pioggia forte preferisce non caricare nessuno lungo la strada, per evitare che i passeggeri gli bagnino i sedili. Non per un particolare amore nutrito nei confronti della macchina, ma semplicemente perche' se gli viene voglia di fare un pisolino e si ritrova il sedile bagnato come si fa?
E diro' di piu': il tassista pechinese non carica il passeggero se non sta andando nella direzione che il tassista sta percorrendo: "Vai a nord o a sud?" "A sud!" "Ah, no, io vado a nord" - come se girare l'auto nella direzione opposta fosse un fastidio tremendo, enorme.
Il tassista pechinese si arroga la facolta' di non caricare lo straniero: fosse mai che non ci si capisce.
Il tassista pechinese, se dall'aeroporto non vai ad un indirizzo che lui giudica abbastanza lontano - e non ho mai capito bene come quantifichino l'abbastanza lontano - ti carica ugualmente, ma ti fara' scontare la tua colpa con almeno 20 minuti di lamentele di vario tipo ("Eh, e' tutta la giornata che aspetto" "Beh, ma questo indirizzo e' troppo vicino" "Quando torno in aeroporto mi tocca fare di nuovo la fila" e via cosi'. Se non ne fate una questione di principio, promettetegli una piccola mancia, di solito funziona ad interrompere il disco: io, dopo un volo intercontinentale, sono disposta a pagare il sovraprezzo per un viaggio silenzioso).
Tutto sommato i tassisti milanesi non mi sembrano poi cosi' diversi. E' pur sempre l'uomo della strada, indurito dal sedile e dal volante, il cuore che non si piega piu' ne' davanti alle vecchiette ne' davanti alle mammine. E' la legge della jungla (d'asfalto).

Monday 3 September 2012

Conversazioni mattutine con tassista pechinese (2) - tempi moderni



Salgo.
Lui: "Il tuo vestito, il tuo viso, il tuo taglio di capelli... ti stanno molto bene"
Io: "Grazie"
Lui (voltandosi un po' di piu'): "E la tua silhouette e' molto bella"
A questo punto, una donna in una qualsiasi grande metropoli del mondo avrebbe chiesto al tassista di fermarsi e sarebbe scesa...
Ma Pechino non e' una qualsiasi grande metropoli del mondo e un commento e' solo un commento. 
Io: "Grazie"

(dedicato al tassista che l'altro pomeriggio mi ha chiesto se ero uomo o donna)


Saturday 1 September 2012

La Repubblica delle Polpette



L'Italia che non cambia.
Magari si tinge un po' piu' di rosa, e le banane diventano polpette, ma la storia della vigilessa che sta girando sul web in questi giorni ha tutto il sapore del bel film di L. Zampa del 1960, Il Vigile, interpretato da Alberto Sordi e Vittorio De Sica. Film tratto da un episodio vero, di un vigile appunto troppo ligio al dovere e per questo pesantemente ripreso e colpito dal pugno di ferro dei suoi superiori.
Qui non c'e' nessun film - per ora - ma solo un episodio di vita vissuta che, se vero, dovrebbe fare riflettere  su questi tempi che cambiano, ma solo in superficie. Secondo le ricostruzioni dei giornali, una vigilessa in servizio la sera della Sagra della Polpetta non avrebbe consentito all'auto blu che aveva trasportato due signori De Mita (Ciriaco l'uno, Giuseppe l'altro) di parcheggiare in zona di divieto. E non avrebbe ceduto neppure davanti all'uomo alla guida del veicolo che si qualificava come "scorta" di De Mita. Di fronte alle rimostranze verbali arrivate all'orecchio del sindaco, la vigilessa avrebbe ricevuto una contestazione di addebito e la convocazione per un'audizione difensiva presso l'ufficio del sindaco stesso.
Ma questa Sagra della Polpetta, era un impegno ufficiale?
E se non lo era, come lascia immaginare il nome dell'evento, che ci facevano i due De Mita con auto blu e uomo di scorta? (In pratica, chi paga?)
E soprattutto: le polpette che si sono sicuramente mangiati, le hanno almeno pagate?
Chissa' che fine fara' la vigilessa delle polpette....