Lezioni yoga online

Sunday, 18 July 2021

Yoga on and off the mat - how to use the practice in everyday life

Every morning, at 8:30, I am downstairs, waiting impatiently for my neighbour, colleague and friend to drive me to our workplace. He is never on time. I try to read the news on my mobile, I watch impatiently at my watch, and even think I might call a cab.
Where does my frustration come from? My neighbour? The delay? 
 Let's look at the facts. My neighbour is a kind soul and a dear friend. He drives me to work every working day. We agreed to meet at 8.30am. I am a very punctual person and expect others to be the same. But let's face it: this has always caused me suffering. Because that is just my expectation and I know for a fact that it is rarely fulfilled in real life! The moment I will cease to have this kind of expectation, I will start my mornings without useless and illogical grudges. 
 Expectations are what we think others should do, or how we think things should go. They do not depend on facts and reality, but on personal perceptions and the storytelling we build to connect the dots in our mind. This is a normal process, it happens to everybody, it's unconscious and there is nothing wrong with it. 
It happens with our yoga practice, too. Our mind creates expectations, based on - let's say - how the teacher is demoing the pose or our idea of the "full expression" of the asana, the one we have seen on Instagram or some magazine. If we took a step away from that mental chattering, and look at the facts, we might be able to acknowledge that our body is not the teacher's body and we can't expect it to move like any other body. And we might even acknowledge that the full expression of an asana is just a chimera. Something that doesn't exist. Or that exist but in many different forms and shapes, as many as the forms and shapes of our bodies. Just acknowledging this simple fact might change the perspective of our practice, bring more fulfillment and joy to it. 
If you think this is a fantastic intuition, I must disappoint you. It is just what the Yoga Sutras of Patanjali says, while defining in not so many words the meaning and aim of Yoga. yogaś citta vṛtti nirodhaḥ means that Yoga aims at quieting the mental chatter, giving the practitioner a tool to stop analyzing, inventing, storytelling. 
In Yoga practice, we go back to the breath when our mind starts wandering. How about off the mat? We can go back to the breath, too. Especially if we get anxious or irritated. Three breaths is a good old trick to quiet any intense sensation or emotion. But also going back to the facts is a good way of making peace with our grudges. 
Let's go back to my neighbour. I say to myself: he is not respecting me by being late! This is not a fact. He is adorable and shows his good feelings for me in multiple ways, and my being attached to that only example of "disrespect" just shows that I have some unresolved material to work with. We will be late at work! The fact is that we are never late at work, even if we don't leave at 8.30. More than that, he does know that he is late and jokes about it because he is unable to make it at 8.30. How about me just acknowledging that his 8.30 reads 8.40 and just adapt to it? Just like I would adapt an asana to my practice. 
 Why being so attached to my 8.30? In Yoga, attachment is one of the five klesha or sufferings. They are the main cause of mysery for people: ignorance, egoism, attachment, aversion, fear of impermanence. And it's incredibly true. Each time I look at a situation in which I am feeling wronged or miserable, I can see that it has something to do with the klesha. I try to acknowledge it and re-start from there. Sometimes it helps, sometimes it doesn't. But it is all part of the process of living yoga on and off the mat.
How about you? Are you living your practice off the mat? Maybe you don't even realize it. Stop for one breath and think about it. 



Saturday, 10 July 2021

Premio Strega 2021: il vincitore (e altro ancora) - in podcast

In 8 minuti, tutto quello che ho da dire🙂 Buon ascolto! https://www.spreaker.com/episode/45646032

Sunday, 4 July 2021

Premio Strega 2021: Due Vite di Emanuele Trevi

 Di Due Vite abbiamo sentito molto parlare - fin dall'inizio dell'avventura che è il Premio Strega - come uno dei probabili vincitori. L'altra favorita, Teresa Ciabatti, si è persa per strada, con buona pace di tutti, prima della cinquina. Lui, invece, accompagnato dal sostegno di Francesco Piccolo, ce l'ha fatta.

Meglio comunque partire dai fatti. E cioè che, leggendo la sinossi, non mi sarei mai avvicinata a questo libro. Non conosco Trevi come autore e non sarei certo partita da qui, se non fosse stato per il Premio Strega. Le storie personali, troppo personali, non mi interessano. 

In questo libro (non un romanzo, ma non lo e' neanche Il Pane Perduto di Edith Bruck, anche lei in cinquina) Trevi prende le vite di due amici, due letterati, intellettuali e scrittori come lui: Rocco Carbone e Pia Pera. E da' loro nuova vita, ne perpetua il ricordo, attraverso le sue memorie, concentrandosi in particolare sulla loro visione della scrittura.

Il libro si legge in un soffio: ha il dono della sintesi e lo stile non lascia indifferenti.

Eppure una volta chiuso, il primo pensiero non è andato alla recensione che ne avrei scritto o a quello che l'autore aveva voluto comunicare. Cosa leggo dopo? mi sono chiesta. E freneticamente la mente scartabellava fra i titoli nel mio Kindle, per l'urgenza di trovare una lettura con cui correre ai ripari. Recuperare il tempo perso. Dimenticare questa parentesi, non brutta, ma... vuota.

Sì, perché mi è parso di avere perso tempo. Non ho ricavato nulla da questo libro - e se non fosse un impegno preso con me stessa, non avrei neppure voluto scrivere queste poche righe. Men che meno ho la curiosità di andare a leggere Carbone e Pera, senza voler per questo mancare di rispetto ai tre amici. 


Due Vite di Emanuele Trevi, edito da Neri Pozza


No, per me non merita il Premio Strega, non ha la levatura della grande letteratura, la capacità di coinvolgere che credo essenziale in un libro che  si candida a rappresentare la letteratura italiana dell'ultimo anno. Nella cinquina ci sono almeno due libri che meriterebbero di più la vittoria.

Staremo a vedere. Il Premio ha una sua logica che a noi lettori, a volte, non è dato capire né condividere.

Sunday, 27 June 2021

Premi Nobel: Klara e il Sole di Kazuo Ishiguro

Klara and the Sun (Klara e il Sole, ed. Einaudi) è l'ultimo romanzo di Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura, autore di opere come Never Let Me Go (Non lasciarmi) e The Remains of the Day (Quel che resta del giorno). Il premio Nobel gli è stato conferito nel 2017 

"perché, nei suoi romanzi di grande forza emotiva, ha svelato l’abisso sottostante il nostro illusorio senso di connessione con il mondo".

La Klara del titolo è un robot, un AF (Artificial Friend) - non di ultimissima generazione, ma particolarmente dotata in termini di profondità di osservazione e comprensione delle emozioni umane. Un giorno viene scelta in negozio dalla quattordicenne Josie per essere la sua compagna, per traghettarla attraverso la solitudine dell'adolescenza. La sua capacità di imitarne la camminata,  convince anche la Madre di Josie a completare l'acquisto.

E a poco a poco, si rivelano i pezzi di un mondo post-industriale, inquietante proprio perché il punto di vista della voce narrante - Klara - si concentra solo su ciò che vede ed è programmata a vedere. Al lettore rimane l'(in)carico di connettere i puntini, immaginando cosa possa essere successo in un mondo in cui i robot sono integrati in una società in cui la solitudine è padrona, i ragazzi non si incontrano per giocare, ma in meeting che dovrebbero insegnargli a relazionarsi, poiché ormai tutto il mondo delle relazioni avviene online. E' un mondo inquietante, misterioso, mosso dall'industria genetica, che fa pensare - forse poiché non sembra cosi' lontano dal nostro.

Gli occhi robotici di Klara filtrano per il lettore le relazioni fra le persone: fra gli adulti, fra i ragazzi, fra le coppie. Ne osserviamo il cuore, che forse è quel pezzo che manca a Klara per essere umana - la sua compassione, la sua fede nel Sole come sorgente di vita imperscrutabile sembrano però indicare che, in certi momenti, lei sarebbe un essere umano migliore di molti esseri dotati di cuore. E quindi il cuore non è solo un organo, ma qualcosa di più profondo. 

Tornano temi cari a Ishiguro:  l'attrazione per l'intelligenza artificiale già presente in Never Let Me Go; la solitudine, quell'essere ognuno rinchiuso nel suo spazio (più uno spazio mentale che fisico). Un tema che, anche quando non esplicitato, risuona fra le righe avvolgendo la narrazione in una pellicola malinconica che è la cifra stilistica di Kazuo Ishiguro.

Klara e il Sole è uno di quei libri che suscitano perplessità, perché l'autore stesso sembra essere mosso da una incertezza (a dire il vero anche nella costruzione di alcuni dialoghi) che non era presente nei suoi altri libri. Ma ugualmente, anche dopo averlo chiuso, si rimane a pensarci. La voce narrante è quella, in prima persona, di Klara, che ha solo le sue robotiche certezze. E potrebbe essere la stessa incertezza che domina il nostro presente. Poiché lo capiremo - forse - solo domani, cercando di mettere in ordine i ricordi.  

Si rimane a pensare a quel mondo, chiedendosi quanto sia solo di fantasia. Si torna a pensare a Klara, la cui voce non si spegne con la fine del libro; al suo sacrificio, alla sua ingenuità che fa da lente di osservazione per cercare di capire il mondo di Josie e Ricky, e di tutti i personaggi che gli ruotano intorno. 

E' un libro che parla alla sensibilità di molti, ma che molti non perdoneranno, per non essere all'altezza dei precedenti di Ishiguro.

Klara and the Sun, una delle tante copertine


Wednesday, 9 June 2021

Noir: Venere Privata di Giorgio Scerbanenco

Giorgio Scerbanenco, di origine ucraina per parte paterna, e' considerato uno dei creatori del noir italiano. 

E' il padre, per ben quattro dei suoi romanzi, di Duca Lamberti, professione medico. O meglio, lo era prima di essere radiato e aver scontato 3 anni di carcere. Ed e' dopo il carcere che lo si incontra per la prima volta, in Brianza, fuori da una villa, in Venere Privata (1966).

Sembra vecchio e introverso, Duca, al limite dello spettro dell'autismo mentre conta i sassi. In realtà, più si avanza nella narrazione e più ci si rende conto che è probabilmente piu' giovane di quanto non sembri: intelligente ed intuitivo, arrabbiato con il mondo per tutti i giusti motivi.

Il suo primo lavoro fuori dal carcere ha un che di strano: fare da balia ad un giovane alcolizzato, su mandato del padre, un ricco industriale milanese. Ma le caratteristiche del problema di Davide non convincono Duca. L'ex medico crea uno strano rapporto di dipendenza e fiducia con il suo paziente, scoprendone cosi' il segreto, annidato nelle pieghe dell'anima. E' questo segreto che porta Duca ad una indagine più concreta, in collaborazione con il dr. Carrua (attenzione, ci bacchetta dopo qualche pagina Carrua stesso: l'accento e' sulla prima a, non sulla u!), un ex collega del padre poliziotto morto di crepacuore, che rivelerà i tentacoli di un traffico internazionale.

Un noir dai toni davvero scuri, in cui non si risparmiano calci, pugni e torture, tra macchine bellissime, inseguimenti, sigarette e whisky. Se Duca e' il bullo, di certo non manca pure qualche pupa a completare il quadro.

Sullo sfondo, la Brianza e una torrida Milano "in quei giorni di agosto la metropoli non era giudicata piu' abitabile da un gran numero di cittadini che, chi sa perché, la trovavano abitabilissima con la nebbia, lo smog e la neve."

Mentre la trama e' coinvolgente, la scrittura piacevole e il personaggio di Duca ben riuscito, lascia invece a bocca aperta la valutazione gratuita - e tutt'altro che indispensabile - dell'autore sull'omosessualita'. Diciamoci la verita': sara' pure un romanzo figlio del suo tempo, ma non capita spesso un tale e rabbioso accanimento contro un personaggio (tra l'altro secondario) solo per il fatto che e' omosessuale. Capita talmente poco che per me e' la prima volta. 

Ho premesso all'inizio che Scerbanenco era di padre ucraino. Non ebbe mai un buon rapporto con la sua parte non italiana: per lui non essere considerato italiano era fonte di forte disagio. Essere magari emarginato o trattato diversamente perche' straniero, gli potrebbe avere creato qualche "reazione", come la ricerca di qualcuno da emarginare a sua volta. Perche' non gli omosessuali, o magari i disabili (pare ce l'avesse anche con loro)?

Non sara' per questo che non leggero' piu' i suoi libri: quel che e' fatto e' fatto. Ma sembra giusto segnalarlo: qualcuno potrebbe non gradire. 

Venere Privata di Giorgio Scerbanenco, ed. Garzanti


 Curiosita': il film Il caso "Venere Privata" (1970) vede una giovane e nerissima Raffaella Carra' nella parte di Alberta  Radelli