Lezioni yoga online

Friday, 28 December 2012

Diario culinario di un Natale in famiglia

Il primo pasto è stata la cena, a base di carne, del giorno del mio arrivo, il 22. Da allora, al desco famigliare si è vista solo e sempre carne, fatta doverosa eccezione per la sera della Vigilia, che in famiglia viene trattata come giornata di magro.
Salumi vari, cotechino, pollo, anatra, manzo con i relativi fegatini, brodi, zampe. A crudo, al forno, lesso, a bagnomaria. Giusto oggi gli "avanzi" sono stati macinati e stasera diventeranno polpette. Il punto è che non se ne vede la fine.
Forse dovrei ricordare ai padroni di casa che l'uomo è nato frugivoro e non carnivoro.

Thursday, 13 December 2012

Bikram Yoga: aspetti economici-finanziari (2)

E oltre alle collane, i completini yoga, il franchising, il teacher training e la ri-certificazione di cui sopra, Bikram vince anche la sua battaglia legale per impedire che altri "usurpino" il suo stile.
Mettere il copyright ad uno stile di yoga e' una cosa molto strana, ma mi viene da ridere pensando che se il povero (si fa per dire) Bikram venisse in Cina a battere i pugni sul tavolo non se lo filerebbe nessuno. Di centri per l'insegnamento del Bikram ce ne sono parecchi qui a Pechino, ma uno solo fa parte del suo franchising e la campionessa di Bikram Yoga che lo ha aperto ha comunque relegato lo stile Bikram a poche lezioni settimanali, per lanciare il suo "personalissimo" stile, Soma. Virgolette d'obbligo, poiche' si tratta di Bikram con le posizioni messe in disordine e con qualche twist in piu'.
La vera sfida, caro Bikram, e' qui. Non li' dove la proprieta' intellettuale e' nata e riconosciuta da sempre.

Tuesday, 11 December 2012

Bikram Yoga: aspetti economico-finanziari

Ho scritto diversi post sullo hot yoga, relativi soprattutto allo stile che pratico, il Bikram, 26 posizioni piu' esercizi di respirazione messi in sequenza dall'inventore (vivente) dello Stile, Bikram Choudhury, al fine di rafforzare il corpo e lo spirito. Fin qui, niente di nuovo.

Il resto del mondo yoga si divide sul caso Bikram. C'e' chi dice che e' sempre e comunque yoga, chi invece critica lo stile Bikram perche' non improntato alla meditazione, chi ne sottolinea gli aspetti economici. In effetti, basta andare sulla pagina ufficiale www.bikramyoga.com per capire la macchina finanziaria che il guru e la moglie sono stati in grado di mettere insieme.
Innanzitutto, il teacher training. Vuoi diventare insegnante certificato Bikram? Bene, dovrai avere 2 mesi liberi da impegni che non siano il Bikram per volare a Los Angeles e frequentare il corso, al costo di 11400 dollari (compreso alloggio in stanza da due). Se sei un solitario, paghi un po' di piu' e puoi avere la stanza singola.

Non e' che tutti possono pero' iscriversi al corso: il candidato dovra' avere frequentato un corso di Bikram per almeno 6 mesi presso uno studio del franchising Bikram. Ottenuto il diploma, il nuovo insegnante di Bikram Yoga puo' andare libero per il mondo, ma solo per i prossimi 3 anni: ogni tre anni infatti l'insegnante dovra' ricertificarsi o il suo diploma non sara' piu' considerato valido. I modi per ricertificarsi sono due: volare di nuovo a LA e pagare 250USD per l'apposito corso di ri-certificazione oppure andare ad uno dei seminari di Bikram o della moglie pagando 50USD (fuori le spese, considerando che i seminari quest'anno sono a Bali e in Australia). Se ti iscrivi in ritardo, paghi pure la penale di 25USD.

Certo non e' un'organizzazione senza fini di lucro. Scade nel pacchiano quando nella sezione prodotti del sito si arriva a parlare dell'abbigliamento in vendita online (naturalmente approvato, l'abbigliamento, da Bikram in persona) ma soprattutto della linea di gioielli ideata dalla moglie Rajashree. Anzi, per fortuna presto lei avra' un sito dedicato per la vendita dei suoi gioielli (abbastanza brutti a giudicare dalle foto, ci si chiede chi li compra).
Che dire? E bravi i signori Choudhury, oltre ad essere degli ottimi sportivi sono anche dei bravi imprenditori. Pero' si astengano dal vendersi come designer di moda...

Wednesday, 5 December 2012

Malattie culturali



Proprio ieri ho cominciato a soffrire di un dolore diffuso e molto fastidioso alla base del collo. I colleghi italiani e cinesi in ufficio si sono subito prestati a indicarne le possibili cause: "colpo d'aria", "soffri di cervicale?" o "in Cina si dice che hai dormito male" e via discorrendo.
Poco dopo, a casa ho trovato questo articolo della corrispondente della BBC dall'Italia, che si interroga sul significato delle varie espressioni di cui sopra e che in inglese... non hanno una traduzione. Soffrire di cervicale? E' un semplice "neck pain". Il "colpo d'aria" non esiste. L'articolo e' davvero divertente e mette a nudo una caratteristica tutta italiana di avere un nome e una causa per qualsiasi piccolo disturbo.
Proprio alla stregua dei cinesi, che con la loro tradizione medicale millenaria hanno una spiegazione per qualsiasi starnuto, brufolo o mal di schiena. La differenza tra italiani e cinesi? L'italiano andra' dal farmacista di fiducia o dal medico di famiglia a cercare conforto; il cinese berra' tanta acqua calda, toccasana per la maggior parte delle problematiche stagionali e no.

Sunday, 2 December 2012

I give a shit... do you?



Some might raise eyebrows at this post title. But I have never been more serious.
I was reading one of the many articles published by Yahoo Lifestyle. They say the toilet room is one of the main bone of contention between couples, a special place where one relaxes in many ways.
That's how I discovered that November 19th is the World Toilet Day, which is not a World Expo of toilets and related accessories. worldtoiletday.org is the website of this international celebration, aimed at making people around the world more aware of the importance of having or not having good sanitation services.
As per data shared by worldtoiletday.org 1 in 3 people do not have a private, safe and clean toilet, especially in some African and Asian areas. In India, girls tend not to go to school when they have their period, since at school there are no proper facilities to deal with their personal hygiene. And much more.
In a nutshell, absence of proper toilets and sanitation systems are usually a clear indicator of underdevelopment; while building proper toilets is the starting point for more wealth. In a simple equation, they say "shit=gold".
Let's think of it next time we go.

Saturday, 1 December 2012

Io lavoro e penso che

Non avevo riflettuto molto quando giorni fa avevo, di sfuggita, letto un articolo che metteva a confronto le ore trascorse in ufficio da italiani e, sempre per fare un possibile esempio, i soliti tedeschi.
Ieri sera mi sono poi trovata a tavola con alcuni colleghi e uno di loro, anziano, metteva a confronto due colleghi piu' giovani, assenti dalla cena, e dava il suo giudizio: "Bravi entrambi, ma R. alle 5 chiude e se ne va. G. invece e' uno che si da' da fare".
Ho subito ripensato all'articolo e ho scosso il capo: le stesse due persone potrebbero essere descritte come "R. e' rapida e riesce a finire il suo lavoro nel normale orario di lavoro; G. non sa gestire il suo lavoro nelle 8 ore e deve quindi fermarsi di piu'"
Secondo studi abbastanza recenti trascorrere molte ore sul luogo di lavoro puo' essere molto poco produttivo. I dati sembrano parlare abbastanza chiaro: secondo quelli pubblicati dall'OCSE sul livello di produttivita' nel 2011, 9 delle 10 nazioni europee in cui si lavora piu' a lungo sono anche fra le nazioni meno produttive. L'Italia, una delle 10 nazioni in cui si lavora di piu' in termini di ore trascorse sul luogo di lavoro, e' solo 11ma nella classifica delle nazioni piu' produttive.
Alla cena cui partecipavo ieri sera non parlavamo certo di avvocati, ma di semplici impiegati, eppure l'aspettativa era quella da protagonista di romanzo di Grisham. G. fara' forse piu' carriera di R., non perche' abbia piu' capacita', ma semplicemente perche' trascorre piu' ore in ufficio. Non e' il singolo soggetto a decidere in maniera autonoma quante ore trascorrere in piu' in ufficio - se trascorrerne - ma e' anche l'ambiente di contorno ad imporlo. Ci si aspetta che la dedizione al lavoro e la bravura si manifestino attraverso la quantita', e non la qualita'. A volte prevale la mentalita' complottistica: se lei/lui sta di piu', sto di piu' anche io, che non si sa mai cosa puo' succedere (ai miei danni) quando io non ci sono. A volte non si riflette sul fatto che il tempo libero, ben gestito, ha la stessa importanza sulla resa lavorativa della buona salute, tanto per dire.
E' una questione di mentalita' collettiva, e finche' non cambia quella o ci si rema contro o ci si conforma al gregge.

Wednesday, 28 November 2012

Vade retro Satana



Tra le cose piu' buone inventate dall'uomo ci sono sicuramente la Coca-Cola e la Nutella. Ammettiamolo: non sono prodotti sani, dovrebbero essere consumati con parsimonia ed avvedutezza, senza esagerazioni da film di Nanni Moretti per intenderci.
Eppure come non sorridere al pensiero del gusto della cioccolata da spalmare piu' famosa al mondo su una bella fetta di pane casereccio o alle bollicine che ci solleticano il palato mentre ingolliamo una bella sorsata della bevanda nero-caffe' , magari direttamente dalla sinuosa bottiglietta di vetro? O come non approvare il ricordo dell'Uomo della Coca Cola light nella famosa pubblicita' ("I don't want you, to be my man dananananana) o uno di quei pomeriggi in cui in preda alla sindrome premestruale ti  riconcili totalmente con la vita e con i tuoi ormoni affondando palette da spiaggia nel barattolo di Nutella...?

In questi giorni un certo Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria avrebbe bacchettato lo spot della Coca Cola, girato in due versioni dallo chef televisivo Simone Rugiati, in cui lo stesso presenta pasti in cui la Coca fa da bevanda di accompagnamento. Certo, anche un bambino oggi sa che gli unici pasti consentiti con la Coca Cola sono la pizza o un hamburger McDonald. Tutt'al piu', da bacchettare era il bacchettone, quello chef che decanta la purezza, l'utilizzo dei cucchiai in silicone perche' quelli di legno si impregnano e portano microbi ecc. ecc. e poi mi abbina hamburger di tacchino e Coca-Cola per un pranzo in famiglia. Ma chi fa la spesa - ed il target di quella pubblicita' e' chi fa la spesa, la famosa "massaia" del compianto Mike Buongiorno - sa benissimo cos'e' la Coca Cola e quando e quanto va consumata.
Cosi' come Tata Lucia (la capa delle tate di SOS Tata) sa benissimo che la Nutella mangiata regolarmente e in quantita' esagerate puo' provocare problemi, a partire dai brufoli sulla pelle per intenderci, ma lo spot non invita a farne uso smodato perche' come tutte le cose dolci... va consumato "con un grano di sale" come dicevano i latini. Ed e' proprio quel grano di sale in zucca che questo Istituto pensa che i consumatori non abbiano.

Comunque, le domande che nascono spontanee sono diverse. A partire da: da dove spunta lo IAP? Sembra essere nato nel 1966 e i suoi pareri sarebbero vincolanti per gli associati e non varrebbero un tubo per chi non riconosce l'Istituto.  E poi: sia il Rugiati che la Tata sono in forze a La7. Qualche complotto di rete? C'entra che La7 non riconosce l'Istituto, al contrario di RAI e Mediaset? Perche' non  e' mai intervenuto prima (o se lo ha fatto, perche' solo ora tutta questa risonanza)?

Insomma, la conclusione e' sempre quella di quel comico romagnolo di cui non ricordo ne' il nome ne' i connotati: piu' fatti... meno pugnette.

La mia prima volta... con Twitter

Non sono un campione della tecnologia.
I prodotti Apple mi incuriosiscono ma non mi appassionano. Il massimo della tecnologia che possiedo e' il Kindle, tra l'altro regalatomi nella sua prima versione e quindi gia' obsoleto.
Avevo Facebook, ma l'ho lasciato perdere perche' era troppa societa' non desiderata e tutta in una volta. Sono su Anobii perche' adoro i libri ed e' un unsocial network, come piace a me.
Ho provato network di cucina che lascio perdere dopo poco perche' sono pigra e non mi va di fotografare le mie ricette.
Ho provato il social network per gatti e mi sono ritirata spaventata dall'assalto delle gattare che mi davano il benvenuto da ogni parte del mondo.
Ma con coraggio e dedizione l'altra mattina appena sveglia ho deciso che mi sarei cimentata anche con Twitter, tanto per provare. Ho gia' localizzato il pulsante per eventualmente disattivare l'account, che non si sa mai.
I miei primi followers avevano fotografie per niente equivoche, chiarissime anzi, e li ho subito bloccati. Penso di avere scoperto lo spam di Twitter.
Gli altri sono perfetti sconosciuti, in particolare autori o cantanti che desiderano lanciarsi/farsi conoscere (con me stan freschi).
Ho scritto qualche tweet  e quando ne ho postato uno sul VPN, ho in meno di 10 secondi ricevuto una mail sul mio Yahoo! che mi offriva servizi per migliorare il mio VPN...rabbrividisco. Certo non e' casuale. Ho subito ricontrollato, per sicurezza psicologica, il deactivate my account - che per me e' come il pulsante di espulsione per un pilota di aereo, la copertina per Linus, il ciucio per Maggie dei Simpsons.
Intanto continuo a twittare....

Tuesday, 27 November 2012

Il lievito madre, questo mistero

Un post e' sufficiente qui per parlare del panetto che miracolosamente si gonfia e da' vita a pane, focaccia, pizza e tutto cio' che lievita. Tanto ci sono fior fiore di blog dedicati allo stesso tema, corredati da foto e consigli, metodi piu' o meno collaudati per creare il proprio prezioso panetto lievitante.
Facendo un rapido giro d'orizzonte, rimango dell'idea che il lievito madre sia un mistero anche per coloro che  sono riusciti - non si sa come - a mantenerlo in vita. Ad esempio, ho una lista di punti interrogativi che su nessun blog ha trovato risposta:
1. durante le prime due settimane lo si tiene a chiusura ermetica?
2. ama l'umidita' o il secco?
3. la croce gliela si fa sempre?
4. si unge d'olio?
5. perche' il mio lievita poco, dopo che mi aveva illuso al primo rinfresco con performance strabilianti?

Gia', dopo il primo rinfresco lo avrei chiamato Rocco in onore alla sua prestazione da fenomeno, ma da oggi (decimo giorno dalla sua nascita) ho deciso che si chiamera' semplicemente Alfredo, come nella canzone di Vasco. Sembra - dicono le food blogger - che sia essenziale dare un nome al lievito madre, anche se forse e' inutile battezzarlo in punto di morte come nel mio caso. Io comunque persevero, il colore e l'odore sono ancora buoni e stasera al rinfresco provo la rianimazione bocca a bocca con un pochino di miele. Per ora ho messo al suo capezzale delle belle arance mature.
Speriamo che un po' di buona sorte faccia il miracolo...

Wednesday, 17 October 2012

Lo specchio del paese

 Stasera al Grand National Theatre Maurizio Pollini ha incantato tutti con i suoi 4 Beethoven, un crescendo di difficolta' ed impeccabile resa, e verve. Alla fine del concerto, c'era da meravigliarsi che quel signore in frac avesse mani cosi' agili, lui che entrava ed usciva dal palco un poco ricurvo, col passo un poco tremolante, che sembrava usare il piano per sorreggersi nel fare gli inchini al pubblico entusiasta.
E cosi' ho pensato che e' uno dei migliori pianisti italiani su piazza, ed e' nato nel 1942. Ha esattamente 70 anni e da almeno 40 calca le scene a livello mondiale. Stasera si esibiva, non certo per la prima volta, nel paese in cui i pianisti migliori si chiamano Lang Lang, Li Yundi e Chen Sa e che insieme, oggi, fanno poco piu' di 90 anni.
Sara' che in questi giorni le polemiche  sulle cariche parlamentari che in Italia si protraggono per decenni, ventenni e via discorrendo stanno imperversando sui giornali. Sara' che tutti hanno fatto le proprie considerazioni sulla quasi assenza di ricambio generazionale nella classe politica che, rimpasto piu' rimpasto meno, piu' o meno e' sempre la stessa - almeno da quando sono nata io.  Ma il concerto di stasera mi e' sembrato davvero uno specchio perfetto del nostro paese. 

Wednesday, 19 September 2012

Le isole, il traffico e il sushi (2)

Un po' per voglia, un po' per vedere l'effetto che fa, ho chiamato il ristorantino giapponese per ordinarmi un piatto di sashimi, come mio solito. In 20 minuti di solito mi arriva il tutto, portato da un ragazzo o ragazza del ristorante, ben vestito in kimono tradizionale giapponese. In 20 minuti, questa volta, sono venuti due piccoli ragazzi, vestiti in jeans e maglietta. Quando ho aperto la porta se ne stavano li', un poco curvi e con lo sguardo spaurito. Mi e' parso si rasserenassero un po' nel vedere che dietro la porta c'era una laowai e non un cinese pronto a prenderli a male parole. 

Le isole, il traffico e il sushi

In questi giorni a Pechino e' un po' come essere nell'ultimo film di Zhang Yimou, Flowers of War: un forte sentimento nazionalista anti-giapponese serpeggia per la citta'. Che poi il sentimento non sia reale, bensi' provocato dall'alto e' una considerazione quasi scontata. La zona intorno all'Ambasciata Giapponese e' cordonata e le vie sbarrate al traffico pubblico e privato; ci sono gruppi di picchettanti "tenuti a bada" dai poliziotti che pattugliano i punti nevralgici della citta'; gli elicotteri volano nei cieli pechinesi con l'inquietante suono delle loro pale metalliche, rendendo lo scenario urbano molto piu' vicino a Gotham City che non alla Nanchino dell'invasione giapponese.  Se non fosse che va avanti da giorni - e tutto per quelle che Wikipedia descrive come "five uninhabited islets and three barren rocks" - sarebbe, come al solito in questo paese, tragicocomico.
Anche il povero ristorantino giapponese sotto casa fa i conti con il nazionalismo imperante, e sopra alle insegne ha disposto bandiere rosse cinesi e scritte di chiara ispirazione nazionalista, un po' per imposizione e un po' anche per evitare guai, che non si sa mai.


Le scritte recitano due slogan: "Le isole Diaoyu sono cinesi!" e "La gente e' cinese, i cuori sono cinesi!' facendo chiaro riferimento alla nazionalita' dei gestori del ristorante, a beneficio della potenziale clientela. Mentre nulla si dice riguardo alla nazionalita' del pesce servito.
Il Seven-Eleven di fianco, per non essere da meno in termini di amor patrio, ha esposto sopra la porta d'ingresso una bandiera cinese.
Per il resto, la vita continua e per la gente normale il problema rimane ancora una volta il traffico, la cui situazione e' notevolmente aggravata dai blocchi stradali di cui sopra. 

Sunday, 16 September 2012

Un quadrato e' sempre un quadrato?

L'arte astratta, questo grande mistero irrisolto. Metto un po' di colori sulla tela, non do' un titolo al mio (capo)lavoro cosi' lascio libero lo spettatore di capirci quello che piu' gli piace ed e' fatta.
Lo so, il discorso e' molto piu' complesso di cosi', e anche se posso capire tutto il processo per cui un Kandinskij arriva a fare astrattismo, mi riesce piu' difficile apprezzare questa corrente. Ancor piu' difficile mi riesce giustificare, tuttavia, il Quadrato nero su fondo bianco di Malevic, padre del suprematismo sovietico. Non tanto perche' non sia convinta della bonta' dell'opera, quanto per la descrizione che ne fanno i libri di testo:
"... dipinge un'opera dal significativo titolo: Quadrato nero su fondo bianco". Certo, piu' significativo di cosi
'.
Ma andiamo avanti:
"Il quadrato nero, in quanto forma geometrica, non e' tratto dalla realta', ma e' per Malevic espressione della sensibilita' interiore, non-oggettiva..." - che devo pensare di un artista che ha per sensibilita' interiore un quadrato nero?
Ma Malevic continua a stupirci. Qualche anno dopo
"giunge al limite estremo, oltre il quale e' impossibile andare, dipingendo "Quadrato bianco su fondo bianco (...) Al di la' di questi due casi irripetibili..." E certo che sono irripetibili. Dato che un quadrato e' sempre un quadrato, se qualcun altro rifaceva l'esperimento lo avrebbero tacciato di plagio "Alt, ma quello non e' il quadro che ha fatto Malevic?"
                                                                                                 
Cio' mi porta a ripensare a quando ero bambina e mi si e' sempre detto che non sapevo disegnare (il che era vero). Non sapevo riprodurre una banana, o una mela, o un semplice paesaggio - il che e' sempre stato problematico nel gioco del Pictionary, piu' avanti, ma questa e' un'altra storia. La nostra cultura e' ancora legata al figurativismo di ascendenza rinascimentale: per essere bravo in educazione artistica, conta che tu sappia riprodurre il dato realistico. Dei quadrati neri o bianchi che ti porti dentro se ne fregano tutti, a meno che non decidano di mandarti in psico-analisi. Cosi' guardando - comunque perplessa - le opere di Malevic mi sono detta che forse, forse anche dentro di me c'e' un artista, ma il maledetto Rinascimento lo ha soffocato sul nascere. Forse, forse in ognuno di noi ci sono cerchi e triangoli di impareggiabile bellezza, che aspettano solo di essere messi su tela.

Thursday, 6 September 2012

Paese che vai tassista che trovi

E uno capisce perche' i tassisti abbiano ispirato cosi' tanta produzione specie al cinema, come i film Taxi Driver o il nostrano Il Tassinaro o la canzone francese Joe Le Taxi. Il Corriere della Sera online oggi dedica un articolo ai tassisti milanesi che si rifiutano - e per legge possono farlo - di caricare animali sui loro veicoli.
I casi presentati nell'articolo sono due: una signora con figli, valigie e cane a rimorchio all'aeroporto e nessuno la vuole caricare, presuntamente per via del cane; una anziana signora con cane invalido, e nessuno la vuole caricare in una serata fredda e tempestosa.
Da frequentatrice, anzi, consumatrice di servizio taxi a Pechino, potrei dire di essere diventata un'esperta del settore e oso pensare che il cane sia stato solo un pretesto, anche a Milano.
Il tassista pechinese preferisce non caricare mandrie di bambini, specie se c'e' di mezzo pure passeggino o carrozzina. Davanti ad una mamma con prole al seguito, se la prole e' a livello di neonato o poco piu', il buon tassista non si ferma. Perche'? Ma semplice. Si sentirebbe obbligato a scendere dalla macchina e dare una mano, e allora preferisce ridurre lo sforzo e tirare dritto.
Il tassista pechinese in giornate di pioggia forte preferisce non caricare nessuno lungo la strada, per evitare che i passeggeri gli bagnino i sedili. Non per un particolare amore nutrito nei confronti della macchina, ma semplicemente perche' se gli viene voglia di fare un pisolino e si ritrova il sedile bagnato come si fa?
E diro' di piu': il tassista pechinese non carica il passeggero se non sta andando nella direzione che il tassista sta percorrendo: "Vai a nord o a sud?" "A sud!" "Ah, no, io vado a nord" - come se girare l'auto nella direzione opposta fosse un fastidio tremendo, enorme.
Il tassista pechinese si arroga la facolta' di non caricare lo straniero: fosse mai che non ci si capisce.
Il tassista pechinese, se dall'aeroporto non vai ad un indirizzo che lui giudica abbastanza lontano - e non ho mai capito bene come quantifichino l'abbastanza lontano - ti carica ugualmente, ma ti fara' scontare la tua colpa con almeno 20 minuti di lamentele di vario tipo ("Eh, e' tutta la giornata che aspetto" "Beh, ma questo indirizzo e' troppo vicino" "Quando torno in aeroporto mi tocca fare di nuovo la fila" e via cosi'. Se non ne fate una questione di principio, promettetegli una piccola mancia, di solito funziona ad interrompere il disco: io, dopo un volo intercontinentale, sono disposta a pagare il sovraprezzo per un viaggio silenzioso).
Tutto sommato i tassisti milanesi non mi sembrano poi cosi' diversi. E' pur sempre l'uomo della strada, indurito dal sedile e dal volante, il cuore che non si piega piu' ne' davanti alle vecchiette ne' davanti alle mammine. E' la legge della jungla (d'asfalto).

Monday, 3 September 2012

Conversazioni mattutine con tassista pechinese (2) - tempi moderni



Salgo.
Lui: "Il tuo vestito, il tuo viso, il tuo taglio di capelli... ti stanno molto bene"
Io: "Grazie"
Lui (voltandosi un po' di piu'): "E la tua silhouette e' molto bella"
A questo punto, una donna in una qualsiasi grande metropoli del mondo avrebbe chiesto al tassista di fermarsi e sarebbe scesa...
Ma Pechino non e' una qualsiasi grande metropoli del mondo e un commento e' solo un commento. 
Io: "Grazie"

(dedicato al tassista che l'altro pomeriggio mi ha chiesto se ero uomo o donna)


Saturday, 1 September 2012

La Repubblica delle Polpette



L'Italia che non cambia.
Magari si tinge un po' piu' di rosa, e le banane diventano polpette, ma la storia della vigilessa che sta girando sul web in questi giorni ha tutto il sapore del bel film di L. Zampa del 1960, Il Vigile, interpretato da Alberto Sordi e Vittorio De Sica. Film tratto da un episodio vero, di un vigile appunto troppo ligio al dovere e per questo pesantemente ripreso e colpito dal pugno di ferro dei suoi superiori.
Qui non c'e' nessun film - per ora - ma solo un episodio di vita vissuta che, se vero, dovrebbe fare riflettere  su questi tempi che cambiano, ma solo in superficie. Secondo le ricostruzioni dei giornali, una vigilessa in servizio la sera della Sagra della Polpetta non avrebbe consentito all'auto blu che aveva trasportato due signori De Mita (Ciriaco l'uno, Giuseppe l'altro) di parcheggiare in zona di divieto. E non avrebbe ceduto neppure davanti all'uomo alla guida del veicolo che si qualificava come "scorta" di De Mita. Di fronte alle rimostranze verbali arrivate all'orecchio del sindaco, la vigilessa avrebbe ricevuto una contestazione di addebito e la convocazione per un'audizione difensiva presso l'ufficio del sindaco stesso.
Ma questa Sagra della Polpetta, era un impegno ufficiale?
E se non lo era, come lascia immaginare il nome dell'evento, che ci facevano i due De Mita con auto blu e uomo di scorta? (In pratica, chi paga?)
E soprattutto: le polpette che si sono sicuramente mangiati, le hanno almeno pagate?
Chissa' che fine fara' la vigilessa delle polpette....




Friday, 31 August 2012

Lancome? Mais oui, Beijing!

Ecco cosa puo' ravvivare anche se solo per pochi  minuti un grigio venerdi' pomeriggio d'agosto a Pechino, con il caldo che quasi ti scioglie in un mucchietto di sudore sporco di inquinamento, e con il valore delle polveri sottili che ha ben superato il livello di guardia. E non servono macchinari super-avanzati per accorgersene, il mal di testa prende appena usciti fuori di casa.


A bordo del Terzo Anello, imbottigliato nel traffico dell'ora di punta, un autobus che sembra quello della Barbie passeggia a mo' di cocchio fra i clacson rabbiosi. E' rosa shocking, con un'ampia vetrata che rivela una specie di beauty salon su 4 ruote dove allegre signorine si truccano e si specchiano a beneficio dei passanti. Qualcuna mi ricambia l'interesse... e la foto.









Anche il fido cocchiere-autista e' ben felice
di farsi fotografare dalla passante straniera, e agita la bombetta in segno di saluto:

...quasi quasi divento cliente Lancome. Oppure compro una Barbie.

Tuesday, 21 August 2012

Dimmi chi ti scrive e ti diro' chi sei

Lo ammetto, recentemente non sono stata uno degli animali piu' socievoli sulla faccia della terra. Sara' per questo che sono cosi' delusa dalla mia casella mail?
Il mio "corrispondente" piu assiduo e' un blogger che spara un post ogni due ore perche' questo e' il suo concetto di vacanza. Tutti post molto interessanti, di economia ed attualita'... peccato che con questa raffica passi perfino la voglia di leggere i titoli dei post.
Ci sono poi le mail di GialloZafferano, che puntualmente mi arrivano informandomi delle ricette del giorno. Tranne la torta 7 vasetti non ne ho mai provata una, di solito in casa non ho tutti quegli ingredienti. Ma non posso lamentarmi, dal momento che ho la memoria (ormai lontana) di essermi iscritta io alla newsletter.
Mi sono invece cancellata dalla newsletter di Groupon.it poiche' ero stanca di vedermi offrire a prezzi scontatissimi il solito materasso in lattice e cene per due a base di pesce a Parma e provincia.
Direttamente nello Spam mi vedo invece offrire da non ho capito chi la fantastica scopa elettrica della Vileda. Si', l'articolo mi tenta, lo ammetto, ma meglio lasciarlo dove Yahoo lo ha voluto spostare: casella Spam.
C'e' poi Simon Quadro (e' il suo nome d'arte, ma lui non lo sa) che mi scrive solo perche' stiamo arrangiando una compravendita di ... un quadro.
Farei di tutta l'erba un fascio accorpando Amazon.it, Amazon.com, IBS e Barnes&Noble, aficionados, tanto quanto io sono affezionata a loro.

L'elenco potrebbe continuare. Cio' che e' evidente - e che mai avrei voluto ammettere neppure a me stessa - e' che sono il piu' lampante esempio del consumismo imperante. O quanto meno del tentativo ben riuscito del mondo moderno di bombardarmi di ogni genere di offerta e tentazione, tanto prima o poi... ci cadro' no? Forse non comprero' la scopa elettrica o il materasso in lattice, ma prima o poi un libro che non leggero' da Amazon e Co. mi fara' fare il benedetto click. Perche' ognuno di noi ha i suoi punti deboli e la Pubblicita' apparentemente conosce  benissimo i miei.