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Wednesday, 28 November 2012

Vade retro Satana



Tra le cose piu' buone inventate dall'uomo ci sono sicuramente la Coca-Cola e la Nutella. Ammettiamolo: non sono prodotti sani, dovrebbero essere consumati con parsimonia ed avvedutezza, senza esagerazioni da film di Nanni Moretti per intenderci.
Eppure come non sorridere al pensiero del gusto della cioccolata da spalmare piu' famosa al mondo su una bella fetta di pane casereccio o alle bollicine che ci solleticano il palato mentre ingolliamo una bella sorsata della bevanda nero-caffe' , magari direttamente dalla sinuosa bottiglietta di vetro? O come non approvare il ricordo dell'Uomo della Coca Cola light nella famosa pubblicita' ("I don't want you, to be my man dananananana) o uno di quei pomeriggi in cui in preda alla sindrome premestruale ti  riconcili totalmente con la vita e con i tuoi ormoni affondando palette da spiaggia nel barattolo di Nutella...?

In questi giorni un certo Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria avrebbe bacchettato lo spot della Coca Cola, girato in due versioni dallo chef televisivo Simone Rugiati, in cui lo stesso presenta pasti in cui la Coca fa da bevanda di accompagnamento. Certo, anche un bambino oggi sa che gli unici pasti consentiti con la Coca Cola sono la pizza o un hamburger McDonald. Tutt'al piu', da bacchettare era il bacchettone, quello chef che decanta la purezza, l'utilizzo dei cucchiai in silicone perche' quelli di legno si impregnano e portano microbi ecc. ecc. e poi mi abbina hamburger di tacchino e Coca-Cola per un pranzo in famiglia. Ma chi fa la spesa - ed il target di quella pubblicita' e' chi fa la spesa, la famosa "massaia" del compianto Mike Buongiorno - sa benissimo cos'e' la Coca Cola e quando e quanto va consumata.
Cosi' come Tata Lucia (la capa delle tate di SOS Tata) sa benissimo che la Nutella mangiata regolarmente e in quantita' esagerate puo' provocare problemi, a partire dai brufoli sulla pelle per intenderci, ma lo spot non invita a farne uso smodato perche' come tutte le cose dolci... va consumato "con un grano di sale" come dicevano i latini. Ed e' proprio quel grano di sale in zucca che questo Istituto pensa che i consumatori non abbiano.

Comunque, le domande che nascono spontanee sono diverse. A partire da: da dove spunta lo IAP? Sembra essere nato nel 1966 e i suoi pareri sarebbero vincolanti per gli associati e non varrebbero un tubo per chi non riconosce l'Istituto.  E poi: sia il Rugiati che la Tata sono in forze a La7. Qualche complotto di rete? C'entra che La7 non riconosce l'Istituto, al contrario di RAI e Mediaset? Perche' non  e' mai intervenuto prima (o se lo ha fatto, perche' solo ora tutta questa risonanza)?

Insomma, la conclusione e' sempre quella di quel comico romagnolo di cui non ricordo ne' il nome ne' i connotati: piu' fatti... meno pugnette.

Monday, 16 July 2012

Censura di Stato



Ieri, in uno slancio rivolto all'informazione internazionale in formato cartaceo, ho deciso di acquistare copia della rivista The Economist. Come sempre scorro rapidamente l'indice e comincio a leggerlo dal primo articolo di mio interesse. Ieri ad esempio a pag. 31 cominciava una sezione dedicata alla Cina con qualche titolo interessante, seppure va detto che fin dai titoli non sembrava vi fossero particolari rivelazioni negli articoli. Il punto davvero interessante di detti articoli e' che ... non c'erano. Semplicemente lda pag. 30 si saltava direttamente alla pagina 33. La censura di Stato ha colpito, con veri e propri colpi di forbice.
Inutile commentare sull'assurdita' di questo atteggiamento. Siamo nel 2012 e chi vuole documentarsi sulla Cina o lo ha gia' fatto da tempo o comunque non saranno quelle due facciate censurate da alcune copie di una rivista ad ostacolare il potere dell'informazione. D'altronde, si parla della nostra come della societa' dell'informazione, il che significa appunto che l'informazione permea la nostra vita in decine di modi. La censura sul cartaceo e' diventata un provvedimento che sa di Inquisizione e francamente di ridicolo. Almeno vedere le copie della Lonely Planet sbianchettate artigianalmente nella parte in cui si citavano i fatti del giugno '89 faceva sorridere (dieci anni fa). Le pagine mancanti del The Economist, oggi, fanno solo scuotere la testa: e' questo il Paese dei miracoli? Sara', a me sembra ancora il Paese dei balocchi.