Ne parlano tutti bene, soprattutto dell'interpretazione di lei, Maryl Streep, che si e' cosi' guadagnata un Oscar come miglior attrice protagonista.
Tuttavia, fin dall'inizio, per quanto invogliata da tutto cio' che di positivo avevo sentito dire, mi sono sentita prendere da un mini-attacco di nausea. Si', perche' la mitica Signora Thatcher (oggi Baronessa, credo) e' ancora viva e mi e' subito apparso di cattivo gusto dipingerla in preda ad una demenza senile che la fa parlare costantemente con il fantasma del marito. Il film, cosi' impostato, sembra piu' una celebrazione di questo legame di amore che dura al di la' dei confini naturali della vita e della sanita' mentale. Un concetto bellissimo, ma non quello che ci si aspetta nel mettersi a guardare un film che si intitola The Iron Lady.
La Signora Thatcher e' ricordata dal pubblico in eta' per farlo come un personaggio fra i maggiori del suo secolo, per le scelte impopolari soprattutto, per i disordini sociali degli Anni Settanta, gli scioperi dei minatori, per la guerra nelle Falklands e, non ultimo, per essere una delle pochissime donne al timone in un mondo prevalentemente maschile. Oggi ci sono le Merkel, le Clinton, le First Lady americane a volte perfino piu' in vista dei mariti. Margaret era praticamente sola, in un mondo di Reagan, Bush, Kohl, Mitterand, Gorbacev. Simpatie, ne riscuoteva poche. Cosi' ha ancora meno senso farla uscire da Downing Street n. 10 con il sottofondo della Casta Diva (quale che sia il rimando interno ad una precedente scena del film) e terminare il film con il Preludio di Bach, che a me fa venire in mente subito l'Ave Maria e quindi mi porta naturaliter a cadere dal divano pensando "E ora che c'entra questo con Margaret Thatcher??"
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