Edith Bruck, alla soglia dei suoi 90 anni, decide di prendere, con fatica, carta e penna, sfidando i problemi alla vista, per ripercorrere ancora una volta la storia della sua vita. Parte raccontando, con distacco, in terza persona, guardando alla sé piccola, nel suo villaggio in Ungheria, mentre cresce il sospetto e l'odio nei confronti degli ebrei.
Spazientisce per quell'uso universale dell' imperfetto narrativo, che genera confusione temporale, ci si chiede per quanto ancora si dovrà aspettare - se andare avanti, conoscendo la sua vita trascorsa, la sua età o lasciar perdere. Ma neanche Atticus lascerebbe perdere.
Ad un certo punto, cade la finzione del romanzo, e comincia a fare capolino, lentamente, un noi: I due gendarmi a Ditke sembravano più grandi, enormi, facevano grasse risate, riempivano il vano della porta, mentre noi ci rimpicciolivamo. Il "noi" a poco a poco si trasforma in un "io" sempre più definito e vocale. Il registro cambia, la voce si fa più salda, sicura, meno... imperfetta.
Il romanzo diventa memoria a tutti gli effetti, una memoria che accarezza i dettagli in punta di ali. Non si sofferma gran che su nulla, la signora Bruck, sa che non c'è tempo per farlo. Ma non sfugge che, ancor più degli orrori dei campi di concentramento, pesa su di lei il rifiuto degli altri, il non voler vedere, credere, ascoltare, accettare.
Per questo chiede a Dio di lasciarle la sua memoria, il suo pane quotidiano (cit.), da spartire con i giovani che ancora incontra in scuole e aule universitarie.
Un libro che invita alla riflessione, cui anche io - sempre puntigliosa nel giudicare l'uso della lingua in ciò che leggo - perdono certe scelte di stile (in origine avevo scritto difetti), accettando di ricondurle ad un modo dell'essere, una certa stagione della vita, un ritorno della mente alla lingua materna.
Se ho indicato in Adorazione un buon candidato al Premio Strega Giovani, Il pane perduto si (auto)candida fortemente alla sezione Giovani, per vocazione, per esplicita indicazione della signora Bruck. E sarebbe un passaggio della torcia ideale, dopo la bella e meritata vittoria di Daniele Mencarelli nel 2020: da uno scrittore giovane che racconta l'inferno privato della mente e che scrive poesie per esorcizzare i suoi demoni, a una signora in là nelle stagioni della vita, che racconta un inferno collettivo, un passato che va onorato per migliorare e orientare il futuro, e che può concedersi il lusso di scrivere direttamente a Dio.
2 comments:
Non posso esimermi dal leggerlo.
(Comunque ha ragione da vendere sto' Atticus!)
P.s.: Grazie per la cit. ;)
Grazie a te di avermi onorato del tuo passaggio!
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