Un’altra delle mie prime volte, quella con Sandro Veronesi. Come spesso
mi accade, ho cominciato dalla ultima fatica, non sapendo bene che aspettarmi
da un libro che, uscito da pochi mesi, era già dato per favorito al Premio
Strega.
Il Colibrì di Sandro Veronesi, La nave di Teseo (2019) |
In Il Colibrì, il protagonista Marco Carrera, oftalmologo, e’ un
uomo come tanti, tra vizi e virtu’. Ne seguiamo la vita dalla nascita, nel
1959, fino alla morte, nel 2030. E qui e’ una delle prime caratteristiche del
libro, che capitolo dopo capitolo ci porta avanti e indietro nel tempo, come se
una folata di vento – tutto sommato benevola dato il risultato – avesse scompigliato
il manoscritto dell’autore, impedendogli di seguire l’ordine cronologico. Inoltre,
i diversi capitoli sono a volte classici, ma possono anche ridursi a poche
righe di email, uno scambio di sms, o ancora una breve riga di cartolina.
In questo assemblare tempi e modi, Veronesi rivela tutta la sua
bravura: non perde mai il filo, ne’ lo fa perdere al lettore.
Marco Carrera è anche il colibrì del titolo. Lo è fin da piccolo, per
il soprannome affettuoso datogli dalla madre per un difetto di crescita,
risolto solo a 15 anni grazie ad una cura ormonale. E lo è più tardi, in età
adulta, secondo le parole della donna amata (platonicamente e da cui e’
platonicamente ricambiato):
“…tu sei davvero un colibrì. Ma certo. È stata un’illuminazione: tu sei
davvero un colibrì. Ma non per le ragioni per cui ti è stato dato questo
soprannome: tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia
nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei.
Sei formidabile, in questo. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo
e nel tempo, riesci a fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte
riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così
come il colibrì è capace di volare all'indietro.”
Il colibrì Marco, quindi, ci conduce con apparente facilità di anno in anno o di decennio in decennio in nessun ordine particolare, forte della virtù enunciata da Luisa. Ma nella vita sta anche fermo, a Firenze, dove mantiene la casa dei genitori e i ricordi della famiglia, senza mai arrendersi a cederli o a darli via. Tiene viva la memoria di chi è morto: Probo e Letizia, classica coppia di genitori di quell'epoca in cui l’infelicità coniugale non equivaleva al divorzio o alla separazione; quella dell’amata sorella Irene, morta suicida; della strana figlia Adele, legata a lui come con un filo e morta lasciando al mondo una figlia senza padre. Tiene vivo il legame con i vivi: la corrispondenza con il fratello Giacomo, emigrato in America e che mai gli risponde; quella con Luisa, emigrata a Parigi e con cui intrattiene un legame intenso ma mai consumato; con la ex moglie Marina, emigrata in Germania. Marco Carrera e’ li’, al centro di questa rete. Il suo destino si rivela nel momento in cui si trova, solo, ad accudire la nipote Miraijin (“uomo nuovo” in giapponese), questa figlia del mondo che ad esso da’ nuove speranze, che fa sempre la cosa giusta, dice sempre la cosa giusta. Miraijin e’ reale, ma forse e’ anche simbolo delle speranze riposte nelle nuove generazioni.
Non credo sia casuale che l'uomo nuovo sia una donna, ne' che discenda da un uomo come tanti. Sembra rivoluzionare un po' quelli che sono i fondamenti della nostra religione: Gesù era l'uomo nuovo ed era il figlio di Dio. Qui Miraijin e' donna, ed e' eccezionale, discendente da un uomo che nulla ha di divino.
La parte più futurista del libro e’ anche quella, a onor del vero,
meno piacevole.
Si parla molto di amore e si parla molto di morte. Ma questo
affiancamento di Eros e Thanatos non e’ poi nulla che la letteratura non abbia
ampiamente sfruttato, anche se il modo di Veronesi di affrontare la morte fa
certo riflettere e regala alcune fra le pagine più belle del romanzo.
Una nota stilistica, in negativo. In un paio di occasioni, anche Sandro
Veronesi si fa prendere dal gusto di lasciar correre la narrazione risparmiando sui punti fermi.
E allora lancio un appello, una volta per tutte: Cari Autori, i punti fermi nei
periodi sono belli e aiutano tantissimo a non snervare il lettore. Quelli che
non li usano per scelta stilistica ci sono, ci sono stati (Joyce, Saramago, ...) Ma non è la normalità, non e' che senza
punti è meglio, ne' e' un risparmio per la casa editrice o sulle emissioni di CO2. I vostri romanzi non ne guadagnano. Parola di lettrice.
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