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Sunday, 9 May 2021

Premio Strega 2021: Cara Pace di Lisa Ginzburg

Cara Pace è un gioco di parole. E' il "carapace", la corazza che si ha per proteggersi dall'esterno, quello scudo impenetrabile che permette di restare nella "cara pace". Come Maddalena, che - per difendersi dagli attacchi della vita - sceglie di fare come la sua tartaruga, rifugiandosi nella sua corazza. 
Attraverso la narrazione in prima persona, Maddalena/Maddi racconta la sua infanzia con la sorella minore Nina, un'infanzia fuori dal normale, di due "orfane" con i genitori in vita. Decisamente un ménage familiare alternativo, che segna profondamente le vite delle due bambine, poi adolescenti e donne. 
Non si fa fatica a ritrovarsi nella voce di Maddalena, specie se si ha avuto un rapporto di sorellanza. Il legame a volte viscerale che si stabilisce con la sorella è comprensibile e risuona di cose che molti di noi hanno probabilmente vissuto. E chi una sorella di sangue non l'ha mai avuta, magari sa comunque di cosa Maddalena parla per avere avuto un'amica-sorella. 
Un romanzo delicato, come la voce della narratrice, e molto al femminile. Women's fiction è il genere in cui si incasella facilmente, un "romanzo al femminile" non solo perché le protagoniste sono donne ma anche perché è scritto e presentato avendo in mente le lettrici più che lettor* universal*. 
Come in ogni romanzo che si rispetti, ci deve essere una evoluzione dei personaggi. Qui il faro è puntato su Maddalena, che in qualche modo da quel carapace dovrà uscire, mettendosi per una volta in gioco. Essendo voce narrante, le è facile farci credere che la sua vita le sta bene cosi' come è: il marito Pierre, perfetto; i due figli, comme il faut; il rapporto a distanza con Nina, forte come se fosse in presenza; Parigi che non riesce ad amare, ma che riesce a conoscere a passo di marcia... 
Sorprende un po' il finale, quindi, grazie alla bravura di Maddi nell'arte del depistaggio. Uscire dal carapace è un tipo di evoluzione letteraria che spesso si incontra nei romanzi. Peccato che sia spesso identificato con una esperienza sessuale ( neppure sentimentale) travolgente, che ormai ha un sapore un poco scontato e insipido.
Runner up per la cinquina? Non credo che un romanzo che taglia fuori una meta' del cielo sia adatto a vincere il Premio Strega, ma non conoscendo la percentuale di lettori e lettrici della giuria meglio non sbilanciarsi.

Cara pace di Lisa Ginzburg, Ponte alle Grazie


 


Saturday, 1 May 2021

Premio Strega 2021: Il pane perduto di Edith Bruck

Il mio amico Atticus (sì, è un nickname) dice che quando legge un romanzo non gli interessa la vita dell'autore, chi è, cosa ha fatto e in che modo la sua vita ne informa i  romanzi. Il romanzo o è bello o non lo è. E non sarà il sapere cosa ci sta dietro a renderlo più o meno fruibile. 
Edith Bruck, alla soglia dei suoi 90 anni, decide di prendere, con fatica, carta e penna, sfidando i problemi alla vista, per ripercorrere ancora una volta la storia della sua vita. Parte raccontando, con distacco, in terza persona, guardando alla sé piccola, nel suo villaggio in Ungheria, mentre cresce il sospetto e l'odio nei confronti degli ebrei. 
Spazientisce per quell'uso universale dell' imperfetto narrativo, che genera confusione temporale, ci si chiede per quanto ancora si dovrà aspettare - se andare avanti, conoscendo la sua vita trascorsa, la sua età o lasciar perdere. Ma neanche Atticus lascerebbe perdere. 
Ad un certo punto, cade la finzione del romanzo, e comincia a fare capolino, lentamente, un noi: I due gendarmi a Ditke sembravano più grandi, enormi, facevano grasse risate, riempivano il vano della porta, mentre noi ci rimpicciolivamo. Il "noi" a poco a poco si trasforma in un "io" sempre più definito e vocale. Il registro cambia, la voce si fa più salda, sicura, meno... imperfetta.
Il romanzo diventa memoria a tutti gli effetti,  una memoria che accarezza i dettagli in punta di ali. Non si sofferma gran che su nulla, la signora Bruck, sa che non c'è tempo per farlo. Ma non sfugge che, ancor più degli orrori dei campi di concentramento, pesa su di lei il rifiuto degli altri, il non voler vedere, credere, ascoltare, accettare. 
Per questo chiede a Dio di lasciarle la sua memoria, il suo pane quotidiano (cit.), da spartire con i giovani che ancora incontra in scuole e aule universitarie.
Un libro che invita alla riflessione, cui anche io - sempre puntigliosa nel giudicare l'uso della lingua in ciò che leggo - perdono certe scelte di stile (in origine avevo scritto difetti),   accettando di ricondurle ad un modo dell'essere, una certa stagione della vita, un ritorno della mente alla lingua materna.
Se ho indicato in Adorazione un buon candidato al Premio Strega Giovani, Il pane perduto si (auto)candida fortemente alla sezione Giovani, per vocazione, per esplicita indicazione della signora Bruck. E sarebbe un passaggio della torcia ideale, dopo la bella e meritata vittoria di Daniele Mencarelli nel 2020: da uno scrittore giovane che racconta l'inferno privato della mente e che scrive poesie per esorcizzare i suoi demoni, a una signora in là nelle stagioni della vita, che racconta un inferno collettivo, un passato che va onorato per migliorare e orientare il futuro, e che può concedersi il lusso di scrivere direttamente a Dio.