Ieri, in uno slancio rivolto all'informazione internazionale in formato cartaceo, ho deciso di acquistare copia della rivista The Economist. Come sempre scorro rapidamente l'indice e comincio a leggerlo dal primo articolo di mio interesse. Ieri ad esempio a pag. 31 cominciava una sezione dedicata alla Cina con qualche titolo interessante, seppure va detto che fin dai titoli non sembrava vi fossero particolari rivelazioni negli articoli. Il punto davvero interessante di detti articoli e' che ... non c'erano. Semplicemente lda pag. 30 si saltava direttamente alla pagina 33. La censura di Stato ha colpito, con veri e propri colpi di forbice.
Inutile commentare sull'assurdita' di questo atteggiamento. Siamo nel 2012 e chi vuole documentarsi sulla Cina o lo ha gia' fatto da tempo o comunque non saranno quelle due facciate censurate da alcune copie di una rivista ad ostacolare il potere dell'informazione. D'altronde, si parla della nostra come della societa' dell'informazione, il che significa appunto che l'informazione permea la nostra vita in decine di modi. La censura sul cartaceo e' diventata un provvedimento che sa di Inquisizione e francamente di ridicolo. Almeno vedere le copie della Lonely Planet sbianchettate artigianalmente nella parte in cui si citavano i fatti del giugno '89 faceva sorridere (dieci anni fa). Le pagine mancanti del The Economist, oggi, fanno solo scuotere la testa: e' questo il Paese dei miracoli? Sara', a me sembra ancora il Paese dei balocchi.
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